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Meriam Yehya Ibrahim

, di anni 26 anni, è detenuta in carcere da febbraio a causa della denuncia presentata da un parente, perché ritenuta colpevole per aver sposato un uomo di fede cristiana.

La giovane, all’ottavo mese di gravidanza, con qualche complicazione, è già madre di un altro figlio di appena 20 mesi.

Secondo il tribunale del Sudan, che l’ha condannata a morte per impiccagione, è considerata un’«apostata», ovvero colpevole per aver rinnegato il suo credo musulmano.

La notizia della condanna, che sta facendo il giro del mondo anche grazie ai media internazionali (Bbc, Cnn) che hanno diffuso la foto del matrimonio, cresce la mobilitazione intorno alla donna, nella speranza di poterla salvare.

Antonella Napoli, presidente di Italians For Darfur, riportandosi a rassicurazioni di diversi avvocati ha annunciato che la donna «avrà un nuovo processo» che esclude la pena di morte.

I giudici sudanesi, viste infatti le mobilitazioni internazionali, hanno già annunciato per prendere tempo, che la donna sarà giustiziata almeno due anni dopo il parto.

Ma l’avvocato della 26enne presenterà ricorso contro la sentenza di morte.