Era il 6 agosto del 1945, un lunedì, quando alle ore 8 e 14 il maggiore americano Thomas Wilson Ferebee, a bordo di Enola Gay, inquadrò l’obiettivo e dopo un solo minuto, alle ore 8 e 15 minuti e 17 secondi sganciò dal cielo un ordigno destinato non solo a chiudere la guerra più sanguinosa di sempre ma anche a cambiare la storia dell’umanità.
Il bagliore fu accecante. Un fungo si alzò dalla terra. I morti furono decine di migliaia, il mondo da allora non fu più lo stesso.
Lo spostamento d’aria distrusse case ed edifici nel raggio di 2 chilometri. Ai gravissimi effetti immediati si aggiunsero, anche quelli degli anni successivi per le le radiazioni, che portarono le vittime a quota 250mila.
Tre giorni dopo, il 9 agosto, una seconda bomba atomica fu lanciata su Nagasaki costringendo il Giappone, il giorno 15, alla resa.
La guerra finì subito ma le sue conseguenze di quel “progetto Manhattan” si ripercuotono ancora oggi.
Per questo, il Giappone, primo Paese vittima di un attacco nucleare, punta a realizzare un mondo libero dalle armi nucleari attraverso misure realistiche e pratiche.
Lo ha affermato anche il premier giapponese Shinzo Abe in occasione della cerimonia di commemorazione dei 70 dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima.
“Finora – ha spiegato – non siamo riusciti ad arrivare ad un accordo negli incontri sulla non proliferazione, ma presenteremo una nuova risoluzione per l’eliminazione delle armi nucleari all’Assemblea dell’Onu del prossimo autunno”.