Andrea Natali, 26 anni, si è tolto la vita impiccandosi perché stanco di subire atti di bullismo sul posto di lavoro.
In una foto era ritratto chiuso in un bidone, contro la sua volontà. In un’altra con in testa un sacchetto dell’immondizia. Lo prendevano in giro, lo fotografavano con il cellulare e pubblicavano gli scatti su una pagina Facebook a lui dedicata.
Tanta crudeltà che ha spinto questo povero 26enne a togliersi la vita. La madre lo ha chiamato per colazione, lui non ha risposto. Si era già impiccato nella sua camera al secondo piano nella casa in cui viveva con i genitori a Borgo d’Ale, paese di duemila abitanti immerso nelle campagne del Vercellese.
Una vita che non sopportava più per le pressioni che subiva. Fatta di cose semplici – un lavoro da operaio, passione per le auto, le uscite con gli amici – ma portava dentro di se un vero e proprio macigno.
«Chiediamo giustizia per Andrea anche se niente potrà mai restituircelo – piangono Federico e Liliana, i genitori del giovane Andrea. Il suo calvario è iniziato quattro anni fa: alcune persone che frequentano il paese hanno iniziato a prenderlo di mira con vari scherzi. All’inizio lui non diceva niente. Gli scherzi, però, nel tempo sono diventati via via sempre più pesanti, tanto che un anno fa aveva deciso di sporgere denuncia alla Polizia postale. Ma senza che i responsabili pagassero sul serio. Ma tutto si era chiuso con un nulla di fatto. Diceva sempre che non si era rivolto alle forze dell’ordine solo per fermare i suoi aguzzini – continua Federico il papà di Andrea – ma per evitare che ad altri potesse accadere lo stesso».
Non ce la faceva proprio più. Intanto quei ragazzi si erano messi a fotografare gli scherzi che gli facevano e a creare addirittura una pagina a lui dedicata su Facebook per schernirlo e deriderlo.
Pagina eliminata dalla Polizia postale. «Nostro figlio continuava a ripetere “mi hanno tolto la dignità” e da quel momento è iniziato il suo declino psicologico», ricordano il papà e la mamma.
Il ragazzo, nell’ultimo anno e mezzo si era chiuso in se stesso, non era più uscito di casa se non accompagnato dia genitori. «Dopo la denuncia aveva paura di uscire, si sentiva minacciato. Non andava nemmeno in paese. Temeva che quelle persone potessero fargli del male e probabilmente qualcuno gli aveva detto qualcosa di terribile per farlo arrivare a quel punto».
Ora i genitori tengono in mano la sua foto: quando era sorridente, spensierato. «Amava vivere, ma poco a poco la sua fiamma si è spenta. Era un gran lavoratore prima che gli accadesse questa vicenda assurda». Fino a poco tempo fa organizzava i raduni dell’Alfa Romeo e sognava di raggiungere il fratello Alessandro in Germania per trovare un nuovo lavoro e mettere su famiglia.
I genitori ricordano i suoi ultimi desideri: «In fondo nostro figlio sperava che quelle persone venissero a chiedergli scusa ma non è mai successo. Ora, anche se qualcuno volesse farlo, è troppo tardi. Non vogliamo vendetta, ma solo capire cosa è successo».