Si chiama «upskirting», e in lingua inglese significa, «spiare sotto la gonna». Questa la cattiva abitudine di fare foto riprendo gli slip sotto il vestito.
Una brutta avventura capitata nel 2008 all’attrice Emma Watson nel giorno del suo diciottesimo compleanno: «Mi ricordo che quando sono uscita dalla festa i fotografi si sdraiarono per terra e scattarono delle fotografie sotto la gonna che furono pubblicate sui giornali il giorno dopo. Se l’avessero fatto 24 ore prima sarebbe stato illegale ma siccome ero maggiorenne nessuna legge poteva fermarli».
Ma non solo. Tanti i casi di ragazze e donne che vengono riprese mentre salgono le scale, si chinano a raccogliere qualche oggetto, in luoghi pubblici o per strada, e in altre situazioni imbarazzanti, e che per paura, vergogna evitano di denunciare. Eppure, l’upskirting è molestia sessuale, vera e propria.
A quasi dieci anni di distanza il problema non è stato ancora risolto ma la battaglia contro l’upskirting ha registrato un’impennata nelle scorse settimane quando una ragazza Gina Martin ha denunciato alla polizia un uomo che le aveva fatto una foto senza veli: «Era l’8 luglio — ha raccontato alla Bbc la ragazza— e ero in mezzo alla folla in fila ad Hyde Park per il British Summer Time music festival. Ridevo con mia sorella. Due uomini erano vicino a noi e, dopo averci offerto delle patatine, diventavano molto sfrontati. Uno di loro si è avvicinato a me e deve essere successo allora che ha messo il telefono tra le mie gambe e ha scattato delle foto. Io non mi sono accorta di nulla finché con la coda dell’occhio non ho visto l’uomo che guardava delle foto sul telefonino e rideva. Ho riconosciuto le mie mutande!».
Gina è riuscita ad impadronirsi del telefonino, è scappata via e ha sporto denuncia alla polizia ma si è sentita dire che non è possibile fare nulla perché le foto non sono abbastanza oscene dato che la ragazza indossava delle mutande: «Se avessi scelto di non portare la biancheria intima l’uomo sarebbe stato perseguito — racconta la ragazza – per quanto assurdo possa apparire».
Per vendicarsi la giovane, ha allora deciso di postare una foto dei due uomini su Facebook: «Volevo imbarazzarli. Volevo che qualcuno mi dicesse dove erano». Il post è divenuto virale anche Twitter, molte donne hanno iniziato a scrivere messaggi di supporto, altre a condividere le loro brutte esperienze. A quel punto Gina ha lanciato una petizione su Care2 perché il caso sia riaperto. Attualmente, l’hanno già sottoscritta 50mila persone.