Durante il Congresso dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), in corso a Roma, si è toccata una questione molto importante per la prevenzione del tumore ovarico, che nell’80% dei casi viene scoperto in modo tardivo, in fase già avanzata.
“Se tutte le pazienti a cui viene diagnosticato un carcinoma ovarico facessero il test per la ricerca delle mutazioni Brca, si potrebbero con anticipo raggiungere tutte le famiglie ad alto rischio ereditario di questa neoplasia”, spiega Nicoletta Colombo, Direttore della Divisione di ginecologia oncologica medica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.
La malattia si manifesta chiaramente, attraverso perdita di appetito e problemi digestivi, gonfiore o dolore addominale, stitichezza, diarrea e dolore nella regione lombare. “Già nel 2015 abbiamo pubblicato le raccomandazioni per l’implementazione del test Brca e ora le stiamo aggiornando”, aggiunge Stefania Gori, presidente eletto Aiom: “Stiamo censendo tutti i centri che effettuano i test, distinguendo per il tipo di esame perché non sono tutti uguali, e stiamo capendo quali oncologie propongono un counseling genetico che possa poi accompagnare le persone sane, ma mutate, nel percorso di prevenzione o di sorveglianza. Stiamo elaborando i dati per capire quali sono i centri di riferimento all’interno delle reti oncologiche regionali”. “Il tumore ovarico è raro – conta circa 5 mila diagnosi l’anno – e non è possibile avere un centro di riferimento per ogni provincia”, dice Carmine Pinto, Presidente nazionale Aiom: “Bisogna puntare sulla qualità. La differenza, nella fase iniziale di trattamento, la fa il chirurgo. È importante che le pazienti possano essere curate in un centro che ha grande competenza in ginecologia oncologica”.
Sebbene l’incidenza di questo tumore sia bassa, la mortalità è tra le più alte al mondo. È la quarta causa di morte oncologica prima dei 50 anni e la quinta dopo tale età.