E’ scattato nel cuore della notte l’attacco minacciato da giorni dal presidente americano Donald Trump in Siria, con un’azione mirata contro il presunto arsenale di armi chimiche del governo di Assad. In azione si sono messi mezzi aerei e navali di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, con l’appoggio della Nato.
Colpiti intanto tre obiettivi strategici, a Damasco e a Homs: tre le persone ferite.
Lanciati circa 120 missili da crociera. Una azione congiunta contro la “barbarie e la brutalità”, come spiegato dal presidente americano Donad Trump, dopo l’attacco chimico definito “crimine di un mostro”. Theresa May da parte sua dice: “non puntiamo a rovesciare il regime di Assad”, ma a “farlo desistere dall’uso di armi chimiche”.
Dura la reazione della Russia, attraverso l’ambasciatore negli Stati Uniti: “L’attacco è un inammissibile schiaffo al nostro presidente Putin e non resterà senza conseguenze”. Chiarendo anche che un numero “considerevole” dei missili lanciati è stato “intercettato o abbattuto” dai sistemi di “difesa siriani”. La Francia invece assicura “la Russia è stata avvertita in anticipo degli attacchi”, mentre Mosca nega. Arriva poi il commento dal ministero degli Esteri siriano: “un’aggressione barbara e brutale”. Toni duri anche dal ministro degli Esteri iraniano, che annuncia conseguenze regionali.
Mosca precisa che i missili non hanno colpito né le basi, né uomini né mezzi russi. Israele definisce l’attacco come “giustificato”.
Sostegno anche da Canada, Giappone e Turchia. Il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg sottolinea come il raid “ridurrà la capacità del regime di condurre ulteriori attacchi contro il popolo siriano con armi chimiche”, il cui utilizzo è “inaccettabile”. Ma l’operazione pare abbia fatto scoppiare qualche polemica all’interno del Congresso americano, poiché Trump, non ha chiesto consiglio e autorizzazione a nessuno. Subito dopo l’annuncio di attacco, proteste fuori la Casa Bianca, con slogan «Basta bombe in Siria» e a Londra da parte dei sostenitori della campagna «Stop the War Coalition».
In Italia, intanto, si decidono le sorti del Paese e viene già utilizzata la base americana di Sigonella.
Il premier Paolo Gentiloni aveva chiarito ieri che il nostro Paese “non parteciperà ad azioni militari in Siria” pur continuando a garantire, sulla base degli accordi internazionali vigenti, il necessario supporto logistico alle attività delle forze alleate. La presenza militare statunitense in Italia inizia nel 1951 a seguito della sottoscrizione di un’intesa di collaborazione ad hoc: al momento, secondo stime ufficiose, nelle decine di installazioni militari a stelle e strisce, vivrebbero almeno 13 mila militari.