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L’immunoterapia è l’ultima arma che si aggiunge nella lotta al cancro. A differenza della chemio, con cui si «spara» un farmaco sulle cellule cancerose con l’obiettivo di distruggerle (ma non in maniera troppo selettiva), l’obiettivo dell’immunoterapia è quello di dare l’input al sistema immunitario di agire solo sulle cellule malate.

Il progetto finale sarebbe quello di arrivare a fare del cancro una malattia cronica, con cui poter convivere anche per diversi anni. L’ultima novità porterebbe però a pensare che le risposta alle diverse combinazioni immunoterapiche possano dipendere anche dal sesso di un individuo.

Questo è quanto si apprende dalla rivista scientifica «The Lancet Oncology».

«Malgrado l’evidenza del potenziale ruolo del sesso nell’influenzare il meccanismo d’azione di un farmaco, gli studi clinici che sperimentano nuove terapie solo raramente ne tengono conto. Gli inibitori di checkpoint immunitari hanno rivoluzionato la cura del cancro, mostrando un’efficacia superiore alle terapie standard per molti tipi di tumore.
Al fine di sviluppare nuovi approcci che utilizzano immunoterapie sempre più efficaci, le differenze di sesso dovrebbero essere studiate più profondamente. Il messaggio principale del nostro lavoro, non è certamente quello di dire che gli attuali trattamenti, compresi quelli immunoterapici, dovrebbero essere modificati sulla base di questi dati, ma che dobbiamo capire meglio i meccanismi alla base delle differenze maschi-femmine per assicurarci che queste cure innovative siamo ottimizzate per tutti, donne e uomini».

«Va sottolineato che le donne sono sottorappresentate in tutti gli studi clinici – spiega ancora Aron Goldhirsch, direttore della divisione melanome, sarcomi e tumori rari dell’Ieo -. È ovvio dunque che il singolo studio non ha la potenza statistica adeguata nel dimostrare una correlazione fra sesso ed efficacia del trattamento. Quindi i nostri risultati sottolineano il bisogno di analisi specifiche per sesso, per evitare di estendere alle donne risultati ottenuti principalmente in pazienti maschi. Un errore che potrebbe portare a una qualità di cura inferiore, e potenzialmente un danno».