Sui giornali internazionali circola da giorni la notizia sulla storia di Imelda Cortez, ragazza di El Salvador di 20 anni rimasta incinta dopo essere stata violentata dal patrigno e che ora rischia vent’anni di carcere perché accusata di aver cercato di abortire a tutti i costi: il suo processo per omicidio aggravato è iniziato lunedì scorso e la sentenza è attesa tra una settimana.
El Salvador è uno dei paesi con le leggi più restrittive al mondo in tema di diritti delle donne, e l’interruzione di gravidanza è vista come una cosa illegale e vietata in qualsiasi circostanza: la legge obbliga tutte le donne, anche minorenni, anche se stuprate, anche se in gravi condizioni di salute, a portare avanti la gravidanza a qualsiasi costo. Il codice penale prevede infatti la condanna da due a otto anni di reclusione per le donne che abortiscono, ma in realtà i giudici considerano spesso l’interruzione di gravidanza come un omicidio aggravato punito dunque con pene che vanno dai 30 ai 50 anni di prigionia: anche nei casi di aborto spontaneo.
Fin da quando aveva 12 anni, la protagonista di questa vicenda, è stata maltrattata e abusata sessualmente dal patrigno ora settantenne. Nel 2016, quando si stava preparando per sostenere l’esame di maturità, rimase incinta. Il 17 aprile del 2017, mentre si trovava in bagno, provò un forte dolore al basso ventre e abbondanti perdite di sangue. La giovane fu portata allora presso l’ospedale di Jiquilisco dove partorì: la bambina stava bene, ma il medico dell’ospedale, sospettando un tentativo di aborto, avvertì la polizia. Dopo una settimana trascorsa in ospedale, Imelda Cortez fu arrestata e si trova ancora oggi in prigione, in attesa di un processo. Contro la sua volontà, non le è stato permesso di tenere la piccola. Il patrigno che l’ha stuprata per otto anni non è stato accusato di nulla. La speranza è che ora Imelda possa essere salvata dalla comunità internazionale.