I decessi per suicidio in Italia sono in netta diminuzione sia in valori assoluti che in quelli in percentuale sulla popolazione italiana. Il dato che è stato inserito nell’Annuario Istat del 2018, relativo all’anno però del 2015.
Il trend, analizzato dallo psichiatra e direttore del Dipartimento di salute mentale Asl Roma 2 Massimo Cozza, è “chiaramente in calo: i suicidi sono infatti passati dai 4.291 nel 2013 (7,1 su 100mila abitanti) ai 4.147 nel 2014 (6,8 su 100mila abitanti) fino ai 3.989 del 2015 (6,6 su 100mila abitanti)”.
I mezzi e le modalità più utilizzate sono l’impiccagione e la precipitazione (quasi un suicidio su due), e al terzo posto per gli uomini le armi da fuoco e per le donne l’avvelenamento.
“Si tratta dunque di un dato in diminuzione – rileva lo psichiatra – che si inserisce in un quadro mondiale nel quale si evidenzia, dopo il picco dei suicidi nel 1994, un declino del 38% per un totale mondiale di 4 milioni di vite salvate, e per il quale vengono date spiegazioni economiche e sociali di differente lettura nei diversi continenti”.
E ancora “Si possono fare solo delle ipotesi – sottolinea lo psichiatra – a partire dalla constatazione che nel triennio preso in considerazione c’è stata una costante crescita del Pil reale. Ma il dato fondamentale da considerare – precisa ancora l’esperto – è che resta la multifattorialilità del suicidio e l’unicità di ciascuna persona”.
I disturbi psichiatrici infatti, spiega infine Cozza, “sono solo uno dei tanti fattori di rischio per i comportamenti suicidari, tanto che è stato rivelato dall’analisi dei certificati di morte nel triennio 2011-2013 che solo nel 15,1% c’è stata le menzione di una malattia mentale”.
Al contrario, in una recente metanalisi di 50 anni di ricerche e studi sono stati individuati oltre 50 fattori di rischio, molti dei quali sono temporanei. Tra questi l’isolamento sociale e gli eventi stressanti.