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Si può entrare in una sala operatoria di cardiochirurgia con una situazione clinica devastante, con un alto rischio di mortalità e rimanere sotto i ferri per undici ore, senza trasfusioni di sangue?

Ebbene sì, è accaduto nell’Azienda Ospedaliera di Padova, nel reparto di Cardiochirurgia del professor Gino Gerosa, direttore del Centro.

L’equipe padovana ha permesso al paziente V.L.S. di 67 anni, Testimone di Geova, di tornare sano e salvo nella sua Lecce.

Un risultato straordinario che ha sottolineato non solo la professionalità e la flessibilità degli operatori, ma anche la pratica sempre più diffusa e soprattutto l’efficacia della chirurgia senza sangue anche in interventi estremamente complessi. Il paziente pugliese presentava uno scompenso cardiaco associato a una voluminosa raccolta ascessuale coinvolgente la valvola aortica, la giunzione mitro-aortica e la vecchia protesi (risultato di un intervento di sostituzione valvolare aortica mediante un tubo “valvolato” e protesi per l’aneurisma aortico, intervento di una decina di anni fa).

V.L.S. presentava una lesione pseudoaneurismatica con flusso in cavità, aderenze allo sterno posteriore e una preoccupante anemia.

Una situazione compromessa da infezione estesa, un cuore “pieno di pus”: una sfida assieme al dottor Rubino, al professor Corrado, alla professoressa Anna Aprile, medico legale dell’Azienda Ospedaliera, al reparto di Malattie Infettive, nonché al reparto immunotrasfusionale diretto dalla dott.ssa De Silvestro. L’intervento avrebbe comportato un rischio di mortalità altissimo (già altri centri cardiochirurgici italiani l’avevano sconsigliato: le possibilità di sopravvivenza sarebbero state meno del 15%). Ma V.L.S, rassicurato che non ci sarebbero state emotrasfusioni per la sua religione che non lo prevede, non aveva dubbi. Era deciso.

In una lettera di ringraziamento a tutta la squadra di cardiochirurgia dell’ospedale di Padova, V.L.S. ricorda: “La mia paura più grande non era quella di morire durante o dopo l’intervento, ma di essere definito inoperabile, con l’unica soluzione di tornare a casa ad aspettare di morire senza tentare nulla”.

Ora il paziente sta bene, conclusa la fase riabilitativa tornerà a casa: i sanitari sono ottimisti, hanno pianificato il prossimo reintervento fra una decina d’anni e più. Non è la prima volta che un intervento chirurgico così complesso sia stato effettuato senza sangue: oltre a questo di Padova, sono oramai moltissimi gli interventi bloodless- sottolinea il comunicato medico – prova evidente dei grandi progressi della chirurgia, che ha reso possibile eseguire anche le operazioni più complesse senza correre i rischi correlati con le trasfusioni di sangue, come malattie trasmesse per via ematica, reazioni del sistema immunitario e complicanze dovute all’errore umano.