Le parolacce, sempre più in uso nel linguaggio comune. «Dal ’68 in poi abbiamo assistito a un punto di rottura con il passato, irreversibile a quanto pare», sostiene Luigi Aprile, professore associato di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Firenze. «Si ha avuto sempre più bisogno di infrangere le regole, i tabù, credendo di acquisire una nuova libertà personale e di aderire al modello dominante. Ormai, rispettare la regola del non dire parolacce, almeno in pubblico, è un segno di comportamento retrivo, obsoleto, ligio al conformismo e rischia di far apparire insignificanti agli occhi degli altri».
Ecco che le parolacce, sottolinea l’esperto non sono più segno di maleducazione, ma «di distinzione e di forte personalità di chi le pronuncia». Trasgressivo, allora, diventa chi non le dice.
Stando a quanto riportato da uno studio condotto dalle Università di Stanford, Cambridge, Maastricht e Hong Kong, pubblicato su Social Psychological and Personality Science, chi fa uso del turpiloquio si rivela una persona capace di manifestare le proprie emozioni senza filtri: spontanea e sincera, una persona di cui potersi fidare.