Spread the love

L’assunzione degli DPP-4, farmaci utilizzati nel diabete di tipo 2, può proteggere da rischio di contrarre l’infezione da nuovo coronavirus? E’ la notizia rimbalzata sulla stampa in questi giorni, in seguito alla pubblicazione di un lavoro sulla rivista ‘Diabetes Research and Clinical Practice’ a firma del professor Gianluca Iacobellis dell’Università di Miami. I pazienti hanno tempestato di telefonate i loro diabetologi, alla ricerca di conferme e di spiegazioni. Ma anche chiedendo la prescrizione di questi farmaci dalle supposte inaspettate performance.
Ma è giusto fare un po’ di chiarezza. Per i pazienti innanzitutto. “Alcuni virus della famiglia dei Coronavirus – ricorda il professor Gianluca Perseghin, ordinario di Endocrinologia, Università Milano Bicocca, Medicina Metabolica, Policlinico di Monzae Coordinatore del Comitato Scientifico della Società Italiana di Diabetologia – per poter entrare nelle cellule del nostro polmone potrebbero doversi legare al recettore DPP-4 (che è presente anche nel nostro sistema respiratorio). I farmaci della classe dei DPP4-inibitori quindi si potrebbero opporre in via teorica all’ingresso del virus nelle nostre cellule (Letko M et al Nature Microbiology, Marzo 2020).
Attualmente però questa possibilità è stata solo ipotizzata sulla base di dati generati in modelli animali e richiederà diversi studi meccanicistici per essere dimostrata. Nel frattempo potranno solo essere le valutazioni epidemiologiche già in corso in tutto il mondo nei pazienti affetti da diabete, che hanno contratto in queste settimane l’infezione da Covid-19, a sostenere o confutare l’ipotesi della possibile protezione associata all’uso dei DDP4-i, o meno”. “In caso di infezione da coronavirus – affermano il dottor Paolo Di Bartolo, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi AMD e il professor Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia SID – importante è mantenere un adeguato controllo glicemico, intensificare i controlli della glicemia e se
necessario anche dei chetoni nel sangue o nelle urine. Il passaggio da una terapia orale ad una terapia insulinica è opportuno in caso di ospedalizzazione”.
I dati epidemiologici disponibili ad oggi si limitano a suggerire che:

1) il diabete non aumenta il rischio di contrarre l’infezione da Covid-19;
2) una volta contratta, l’infezione sembrerebbe associarsi a rischi
maggiori di complicanze rispetto alle persone che non hanno il diabete (Fadini GP et al J EndocrinolInvest, Marzo 2020), confermando peraltro quello che già sappiamo in relazione ad altre infezioni più comuni a cui siamo abituati, come ad esempio quella influenzale, per la quale la vaccinazione non a caso è fortemente raccomandata nei pazienti con diabete.
“Nel caso in cui il paziente contragga l’infezione da COVID-19 –
raccomanda il dottor Marco Gallo, SCU Endocrinologia Oncologica, AOU
Città della Salute e della Scienza di Torino–Molinette e componente
Comitato Scientifico di AMD – è importante che contatti il medico curante e il suo centro diabetologico, soprattutto nel caso in cui non venga ricoverato in ospedale, ma rimanga presso il proprio domicilio perché affetto da una forma con sintomi lievi; il contatto con il diabetologo infatti, diventa necessario per ottimizzare la sua terapia anti-diabete, come accade anche quando si contrae una malattia infettiva intercorrente più comune”. Dal punto di vista pratico al momento è fondamentale che i pazienti affetti da diabete seguano scrupolosamente le raccomandazioni igieniche e di distanza sociale, volte a minimizzare in rischio di contrarre l’infezione e che proseguano attentamente le raccomandazioni nutrizionali e le terapie farmacologiche in corso, in modo da ottenere e mantenere un buon controllo metabolico.