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Sono stati fatti degli importanti passi in avanti negli ultimi anni nel trattamento dei tumori del sangue, con terapie innovative che in alcuni casi rendono possibile anche la guarigione completa, debellando anche la malattia minima residua. I riflettori sono tutti puntati sulla maneggevolezza e sulla possibilità per i pazienti di effettuare le terapie, anche infusionali, al proprio domicilio, elemento che assume oggi ancor di più valore in emergenza sanitaria Covid-19.

Gli anticorpi bispecifici BiTE, con il loro innovativo meccanismo d’azione ‘a ponte’ che lega le cellule T alle cellule tumorali, rappresentano il paradigma di questa nuova generazione di terapie per le malattie ematologiche.

Di queste grandi innovazioni nel campo dell’oncoematologia, delle prospettive future e dell’importante ruolo sociale dei media nel comunicare le novità della ricerca si è discusso ieri nel Corso di Formazione “Un ponte verso il futuro dell’oncoematologia: le nuove frontiere dell’innovazione terapeutica nel racconto dei media. Il caso della Leucemia Linfoblastica Acuta”, promosso dal Master di comunicazione scientifica della Sapienza SGP – La Scienza nella Pratica Giornalistica, con il supporto di Amgen.

Massimiliano Bonifacio, UOC Ematologia e Centro Trapianti Midollo Osseo, Ospedale Borgo Roma, Verona – ha dichiarato: «Questo farmaco è stato disegnato per poter essere somministrato a domicilio richiede
l’ospedalizzazione solo durante i primi 3-4 giorni della terapia, per monitorare eventuali eventi avversi, ma poi per tutta la durata del ciclo di 28 giorni il paziente può addirittura assumere il farmaco a casa tramite una pompa infusionale portatile. Avere a disposizione un farmaco così maneggevole rappresenta certamente un vantaggio rispetto ad altre terapie che richiedono un accesso frequente in ospedale, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria in cui i pazienti devono essere tutelati al massimo».

Ogni 3-4 giorni è necessaria la sostituzione della sacca presso il Centro ematologico, che in alcune realtà può essere fatta a domicilio grazie a un servizio di assistenza domiciliare. L’obiettivo, alimentato anche dalle necessità della pandemia, è quello di poter arrivare ad attivare la sostituzione della sacca a domicilio per tutti i pazienti sul territorio.

In Europa vengono diagnosticati ogni anno circa 7.000 nuovi casi di Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA), tumore del sangue che colpisce i precursori dei linfociti, un particolare tipo di globuli bianchi deputati a combattere le infezioni e altri tipi di malattia 1 . Tra questi, si stima che almeno 5.000 siano pazienti pediatrici; in Italia ogni anno circa 400 bambini ricevono una diagnosi di LLA.

Il Blinatumomab è stato recentemente approvato da AIFA per il trattamento della Malattia Residua Minima (MRD) in pazienti adulti con LLA originata da precursori delle cellule B (con espressione della molecola CD19 sulla superficie delle cellule leucemiche e negativa per il cromosoma Philadelphia) e per il trattamento di pazienti pediatrici di età pari o superiore a 1 anno con LLA originata da precursori delle cellule B (con espressione della molecola CD19 sulla superficie delle cellule leucemiche e negativa per il cromosoma Philadelphia) quando la malattia si ripresenta o non regredisce dopo due precedenti linee di trattamento o dopo essere stati sottoposti a trapianto di cellule staminali.

L’efficacia di questo farmaco è confermata anche nella pratica clinica quotidiana.

«Grazie ai risultati dello studio osservazionale retrospettivo NEUF – ha spiegato la dottoressa Cristina Papayannidis, UO Ematologia, Policlinico S. Orsola Malpighi, Bologna – che ha coinvolto 253 pazienti, la maggior parte dei quali, 113, italiani, possiamo affermare che l’esperienza “real life” ha confermato i dati prodotti dagli studi clinici registrativi in termini di tassi di risposta ematologica, di negativizzazione della Malattia Residua Minima e di sopravvivenza globale dei pazienti. Poter contare su tali risultati anche nella pratica clinica quotidiana valorizza ulteriormente il ruolo di blinatumomab, che oggi trova indicazione sia nel contesto
della malattia recidivata/refrattaria, storicamente associata, se trattata con la chemioterapia convenzionale, a prognosi a lungo termine sfavorevoli, sia per i pazienti con Malattia Residua Minima positiva, la cui negativizzazione (raggiungibile in circa l’80% dei casi) consente sopravvivenze a lungo termine non
ottenibili fin qui».