Il principe Vittorio Emanuele e le principesse Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, eredi di Umberto II, citeranno in giudizio la presidenza del Consiglio, il ministero dell’Economia e la Banca d’Italia per la restituzione dei gioielli della Corona, custoditi in un caveau della stessa Banca d’Italia dal giugno 1946.
La delega è stata affidata all’avvocato Sergio Orlandi, che spiega all’ANSA: “a differenza degli altri beni, questi non sono mai stati confiscati e sono rimasti pendenti.
Perciò devono essere restituiti”. La citazione segue un tentativo di mediazione, tenutosi oggi, che ha avuto esito negativo, in quanto si sostiene che siano di proprietà dello Stato.
Trattasi di 6.732 brillanti e 2 mila perle, di diverse misure, montati su collier, orecchini, diademi e spille varie. Appartenuti a regine, duchi, principi della dinastia Savoia.
Con la nascita della Repubblica tutti i beni della famiglia reale vennero confiscati dallo Stato Italiano, come previsto dalla tredicesima disposizione della Costituzione italiana. Ma se per i beni immobili la confisca venne effettuata immediatamente, per i gioielli non venne mai esercitata. I gioielli della Corona sono quindi rimasti sempre nel caveau della Banca d’Italia, protetti da 11 sigilli.
Sui gioielli venne peraltro posto un vincolo della procura di Roma, rimosso nel 2002, che prevedeva che per un’eventuale apertura sarebbe servito il via libera dei giudici. In questi 76 anni l’astuccio è stato aperto una sola volta, nel 1976, quando si decise di sottoporre il contenuto a un controllo e a una catalogazione, per il timore che nel frattempo i gioielli potessero essere stati trafugati. La perizia venne affidata alla società di gioielleria Bulgari, che valutò i gioielli intorno ai 2 miliardi di lire (circa 18 milioni di euro attuali). Oggi ne varrebbero molto di più.
I Sovoia, chiedono la restituzione di tali gioielli al più presto possibile, non più tardi di 10 giorni.