Due neonate furono scambiate in culla 33 anni fa, perché non furono applicati loro i braccialetti identificativi. Una delle due ha fatto causa alla Regione Puglia ed è riuscita ad ottienere a Trani un risarcimento di circa un milione di euro (da dividere con gli altri protagonisti, loro malgrado, della storia).
E’ questa la vicenda di una 33enne di Canosa in Puglia che otterrà il risarcimento assieme alla sua vera famiglia (madre, padre e fratello), a cui per 23 anni sono stati impediti i loro rapporti familiari. Ma l’intera vicenda ha contorni ancora più assurdi.
La scoperta della loro vera identità risale al 2012, guardando delle foto su Facebook e notando delle somiglianze incredibili tra donne che non avevano alcun legame di sangue. I sospetti sono stati poi confermati l’anno dopo con il test del Dna che ha rivelato che la signora Antonella è figlia di Caterina e Lorena di Loreta. Passano gli anni e partono due cause di risarcimento milionarie alla Regione, una davanti al Tribunale di Bari l’altra davanti ai giudici di Trani, che hanno emesso la sentenza. Quest’ultimo ricorso è intentato da Antonella e dai suoi veri genitori. Dalla ricostruzione dei fatti risulta plausibile, oltre ogni ragionevole dubbio, che le due neonate siano state scambiate nelle culle del nido, subito dopo il parto: a nessuna delle due, infatti, fu applicato il braccialetto identificativo. Quindi, le puerpere non furono in grado di riconoscere l’errore. Il personale ospedaliero – è scritto in sentenza – ha l’obbligo di operare perché il parto e le successive cure avvengano senza danni, ma anche di “consegnare” alla madre il neonato che ha partorito. Da qui l’inadempimento contrattuale – come lo chiamano i giudici – da parte della struttura e il danno gravissimo provocato alle persone coinvolte nella vicenda. A pagare dovrà essere la Regione Puglia, mentre nei confronti delle Asl Bari e Bat, citate in giudizio dalla ricorrente, è stato escluso il coinvolgimento perché, all’epoca dei fatti, l’ospedale di Canosa dipendeva dalla Regione.