Il primo chirurgo italiano ad utilizzare una nuova rete a matrice per la cura del tumore al seno è di origini calabresi.
Il suo esperimento, primo in Italia, utilizza una innovativa matrice (fra quelle in commercio) a rete acellulare di collagene di derivazione cutanea fetale bovina nella ricostruzione mammaria.
Il chirurgo senologo-oncologo in questione è Domenico Gerbasi, originario di Spezzano Albanese, nel Cosentino e attuale coordinatore della Breast Unit Bergamo Est (www.seonologiabergamoest.it) con sede presso l’ospedale “Bolognini” di Seriate (BG).
In contemporanea al Policlinico di Roma, Gerbasi ha effettuato un intervento su una donna con carcinoma mammario infiltrante che ha previsto la mastectomia con risparmio e conservazione del complesso areola-capezzolo con accesso periareolare superiore, ricostruzione immediata con impianto pre-pettorale di protesi mammaria definitiva, simmetrizzazione con la mammella controlaterale, utilizzando appunto questa matrice i cui effetti sono sorprendenti. Si tratta di un importantissimo passo in avanti, considerato che tutti i chirurghi ricostruttori da anni sono alla ricerca di una matrice ideale da usare per ricoprire la protesi e migliorare la ricostruzione dopo mastectomia.
Oggi, il coraggio di cercare simili nuove alternative si dimostra una grande risorsa per la nostra ricerca e quella mondiale. Questo intervento, infatti, venne eseguito per la prima volta negli anni 70 ma venne abbandonato, perché senza l’uso delle moderne matrici presentava notevoli complicanze.
Infatti, oltre all’aspetto prettamente oncologico, grazie all’utilizzo di questa innovativa matrice a rete di collagene, ricoprendo la protesi è stato possibile l’impianto in sicurezza, non più in sede sottomuscolare come si fa routinariamente, ma in sede pre-pettorale, cioè ad occupare esattamente il posto della mammella appena asportata con un approccio, quindi, più naturale e meno aggressivo. Ma non è tutto, poiché il vantaggio di questo impianto, che dunque rispetta maggiormente la naturale anatomia, si è poi tradotto in un decorso postoperatorio molto favorevole, che ha richiesto una minima dose di antidolorifico e una dimissione precoce senza alcuna complicanza