Giungono dalla rivista scientifica Europace, organo ufficiale della European Society of Cardiology e della European Heart Rhythm Association, i risultati del “Progetto FAI: la Fibrillazione Atriale in Italia”, finanziato dal Centro per il Controllo delle Malattie del Ministero della Salute e coordinato dalla Regione Toscana.
Il Progetto FAI è stato promosso e sviluppato dal Professor Domenico Inzitari, del Dipartimento NEUROFARBA dell’Università degli Studi di Firenze, in qualità di Responsabile Scientifico, e dal Dr. Antonio Di Carlo, dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche, in qualità di Coordinatore Scientifico, insieme ai Responsabili delle quattro Unità Operative del Progetto, Dr. Leonardo Bellino (Firenze), Dr. Domenico Consoli (Vibo Valentia), Dr. Fabio Mori (Firenze) e Dr. Augusto Zaninelli (Bergamo).
Il Progetto FAI ha consentito di stimare, per la prima volta in Italia, la frequenza della fibrillazione atriale in un campione rappresentativo della popolazione anziana, 6.000 ultrasessantacinquenni arruolati tra gli assistiti dei Medici di Medicina Generale nelle 3 Unità Operative situate in Lombardia, Toscana e Calabria. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a una procedura di screening e successiva conferma clinica. Lo studio è servito a sviluppare e validare una metodologia direttamente trasferibile ai Medici di Medicina Generale e al SSN. I dati raccolti hanno così indicato che nella popolazione anziana del nostro paese è presente una frequenza della fibrillazione atriale dell’8,1%. Ciò significa che un anziano su 12 ne è colpito, portando a stimare in circa 1,1 milioni i soggetti affetti da questa aritmia in Italia.
Lo studio ha permesso di dimostrare che, per effetto dei cambiamenti demografici, questi numeri saranno in costante crescita nei prossimi anni, fino a raggiungere 1,9 milioni di casi nel 2060.
Utilizzando le proiezioni demografiche fornite dall’Ufficio Europeo di Statistica (Eurostat), la ricerca ha permesso anche di stimare i casi di fibrillazione atriale attesi nella popolazione anziana dei 28 paesi dell’Unione Europea. I casi prevalenti nel 2016 risultavano 7,6 milioni, destinati praticamente a raddoppiare fino a 14,4 milioni nel 2060.
Inoltre, mentre nel 2016 in Italia gli ultraottantenni affetti da fibrillazione atriale rappresentavano il 53% dei casi, per effetto dei trend demografici nel 2060 saranno il 69% del totale, e in Europa si passerà dal 51% al 65%.
“Si tratta di uno studio molto importante – ha dichiarato il Prof. Mancardi, Presidente della Società Italiana di Neurologia – perché ha permesso di evidenziare come al di sopra dei 65 anni l’8,1 % della popolazione sia affetto da fibrillazione atriale. Si tratta di una condizione che aumenta fortemente il rischio che si formino coaguli all’interno del cuore e quindi il rischio della successiva comparsa di una embolizzazione che può interessare le arterie cerebrali, con conseguente improvvisa ostruzione di importanti vasi arteriosi cerebrali e comparsa di un ictus cerebrale ischemico. Circa un quarto di tutti gli ictus cerebrali sono dovuti a questo meccanismo. È molto importante quindi riconoscere le persone che presentano fibrillazione atriale e iniziare una terapia preventiva primaria con anticoagulanti orali. Sono necessarie campagne di sensibilizzazione dei medici di medicina generale e della popolazione tutta, per affrontare adeguatamente questo problema e ridurre così la incidenza delle gravi malattie cerebrovascolari”.
La fibrillazione atriale è la più frequente aritmia cardiaca di rilevanza clinica e presenta una stretta correlazione con l’età avanzata. La sua importanza è legata al fatto che essa aumenta di ben 5 volte il rischio di ictus cerebrale, patologia che rappresenta la seconda causa di morte e la prima causa di disabilità nel soggetto adulto-anziano.
Attualmente in Italia si verificano ogni anno circa 200.000 ictus, con un costo per il SSN che supera i 4 miliardi di euro. Rispetto agli ictus dovuti a cause diverse, quelli di origine cardioembolica hanno un impatto più devastante in termini di disabilità residua e sopravvivenza.