Se a inizio millennio l’aspettativa di vita nel nostro Paese era di 3 o 4 anni in più tra i ceti più avvantaggiati rispetto a quelli più svantaggiati, tra gli uomini la differenza è arrivata oggi anche a 7 anni di più. Ossia a quasi 85 tra quelli con livello di istruzione più elevato, e 78 per quelli che hanno abbandonato la scuola, molto prima di tutti gli altri. Poco meglio va invece per le donne. Tutto questo nonostante la speranza di vita sia aumentata in media di un anno buono nell’ultimo decennio. E non è solo per gli anni, ma anche per la qualità di vita vissuta.
Tra i meno istruiti vi è infatti il 12% in più di quelli con altro grado di istruzione con uno stato di salute meno buono. Tra gli over 65 la forbice si allarga poi di molto, e se prendiamo in considerazione le donne italiane del quintile più alto di reddito a lamentarsi della propria condizione fisica è il 13% delle intervistate, nelle fasce medie si sale poi al 15 per arrivare fino ad oltre il 20% di quelle collocate nella fascia di reddito più bassa. Differenze simili, anche se con percentuali inferiori, si registrano anche tra gli uomini.
Il problema è che il cattivo stato di salute che si traduce poi in minori abilità nelle attività quotidiane, lavoro in primis, e se si è più povero è meno in salute, questo finisce anche per far precipitare i più deboli ancora più in basso della scala sociale. Anche in questo caso a parlare sono i numeri. Limitazioni nella vita di ogni giorno vengono accusate dal 13% delle donne con redditi più elevati, oltre il 20% ammette poi di avere seri problemi e tra quelle del quintile di avere anche un reddito più basso. Differenze che vanno invece dal 10 al 15% tra gli uomini.
Secondo il rapporto Oms, infatti, gli uomini e le donne con redditi più modesti hanno il doppio delle probabilità di scontrarsi con depressione e altri disturbi psichici rispetto a coloro che invece possono contare su ben altre ricchezze. E l’Italia non fa alcuna eccezione in questo campo. Gli italiani più ricchi con una cattiva salute mentale sono il 10%, percentuale che può anche salire in base alla capacità reddituale, fino ad arrivare al 30% di chi rientra nell’ultimo quintile di reddito.
Il rapporto ha analizzato poi cause di diseguaglianze sanitarie prodotte da fattori sociali. Al primo posto troviamo l’insicurezza sul reddito e la protezione sociale. «Non riuscire a far quadrare i conti» è nel 35% dei casi all’origine delle diseguaglianze in sanità. Generato per un altro 29% dalle condizioni di vita, come non riuscire a vivere in case dignitose o in quartieri sicuri e meno inquinati, oppure più semplicemente assicurarsi il riscaldamento e tre pasti al giorno.
A sorpresa l’accesso e la qualità dell’assistenza sanitaria incidono solo per il 10%, mentre in quasi due casi su dieci a creare diseguaglianza di fronte alla salute sono il sentimento di isolamento e i bassi livelli di fiducia verso gli altri. Decisori politici in testa.