L’Alzheimer è una malattia molto subdola che può entrare silenziosamente nella vita delle persone per poi travolgerla completamente: porta a una totale perdita di autonomia nei pazienti, con un grosso impegno da parte dei familiari che svolgono un ruolo importantissimo di costante accudimento.
Nel mondo la malattia di Alzheimer colpisce circa 40 milioni di persone e solo in Italia ci sono circa un milione di casi, per la maggior parte over 60. Oltre gli 80 anni, la patologia colpisce 1 anziano su 4. Questi i numeri destinati a crescere drammaticamente a causa del progressivo aumento della aspettativa di vita, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo: si stima infatti che un raddoppio dei casi si può verificare ogni 20 anni.
In occasione della Giornata Mondiale contro l’Alzheimer che si celebra il 21 di settembre, la Società Italiana di Neurologia si esprime con fiducia sulle nuove opportunità terapeutiche che si prospettano all’orizzonte e diffonde i risultati della survey condotta da SINdem (Società Italiana di Neurologia per le demenze), appena pubblicati su Frontiers Psychiatry, sull’impatto del lockdown su pazienti con Alzheimer e caregiver.
“Ad oggi – ha affermato il Prof. Gioacchino Tedeschi, Presidente Società Italiana di Neurologia – le terapie per la cura dell’Alzheimer sono in grado di mitigarne solo in parte i sintomi, ma non hanno alcun impatto sulla progressiva evoluzione della demenza, una volta che questa si sia manifestata. Abbiamo però una nuova speranza: grazie alla ricerca scientifica, l’FDA ha proprio di recente accettato di esaminare gli studi condotti sul farmaco aducanumab, un anticorpo monoclonale che si è dimostrato efficace nella rimozione dell’accumulo di beta amiloide, causa della patologia, nei soggetti che si trovano in una fase molto iniziale della malattia”.
Questo approccio mirato ai possibili meccanismi di malattia si presenta molto promettente per i pazienti.