Erano le ore 19:34 del 23 novembre 1980 quando una scossa di magnitudo 6,5 sulla scala Richter provocò morte, distruzione e tanta desolazione in Irpinia, e nelle zone di Napoli, Salerno, e provincia. Le regioni più colpite furono: Campania, Basilicata e Puglia. 687 i Comuni colpiti, di cui 687 disastrati.
La durata della scossa più forte fu di 90 secondi, quasi 3mila i morti, 9000 i feriti, 300 mila i senza tetto e 150 mila le abitazioni distrutte, interi paesi isolati per giorni e rasi al suolo.
Era una domenica di novembre, a quei tempi i canali tv si contavano sulle dita delle mani e a quell’ora la Rai trasmetteva i risultati delle partite, e una delle partite più importanti della serie A giocate nel pomeriggio. C’erano intere famiglie davanti al televisore, o a cena. Altre avevano approfittato per una gita fuori porta vista l’anomalia climatica della giornata. Era novembre, ma sembrava estate.
La gente si riversò per strada. Passò notti e notti in auto. Le scosse proseguirono per mesi e tutte di una certa intesità.
Si sentivano urla, gemiti di persone sotto le macerie, si vedevano palazzi che crollavano. Le popolazioni colpite furono lasciate da sole. Ci si aiutava come meglio si poteva. Chi aveva dava. Massima collaborazione in un momento di grande emergenza umanitaria.
Le persone più fortunate aprivano le porte delle loro case a coloro che le avevano perse, o perché posizionate ai piani alti, erano inagibili o per prudenza non raggiungibili. distrutte.
L’allora presidente della repubblica Sandro Pertini, parlando in tv, alla nazione, disse:
“Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione dei sopravvissuti […] Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. E’ vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. […] Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. […]. Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate? […]
E dopo il suo grido di accusa per la lentezza nei soccorsi, per quel meccanismo embrionale di Protezione Civile che non aveva funzionato, Pertini rivolse la sua attenzione al dopo-sisma: “non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice […] che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere? […] Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui. Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto”.
E poi l’appello rivolto agli italiani affinché si dessero da fare per aiutare i loro connazionali, come avevano fatto anni prima in occasione dell’alluvione che si era verificata a Firenze.
“Un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherò, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi».
Le dure parole del presidente della Repubblica causarono l’immediata rimozione del prefetto di Avellino Attilio Lobefalo, e le dimissioni (in seguito respinte) del Ministro dell’interno Virginio Rognoni. Il discorso del Capo dello Stato ebbe come ulteriore effetto di mobilitare un gran numero di volontari che furono di grande aiuto in particolare durante la prima settimana dal sisma. L’opera dei volontari fu in seguito pubblicamente riconosciuta anche con una cerimonia a loro dedicata in Campidoglio, a Roma.
Successivamente arrivarono anche gli aiuti di alcuni Stati come Stati Uniti, Germania, Francia, Arabia Saudita, Belgio, Svizzera, Jugoslavia, Algeria e Iraq.
Purtroppo, però, la parola fine alla ricostruzione non è ancora stata scritta. Ufficialmente mancano all’appello 250 milioni di euro di risorse nazionali, stanziate nel 2008 ma mai rese disponibili ai comuni irpini, destinate a opere ancora da completare e a lavori eseguiti da imprese private che risalgono anche ad alcuni decenni fa.
Anche a Napoli, sono ancora tanti gli edifici, anche storici da ristrutturare, e c’è ancora gente in attesa di una casa.
La Regione Campania ha insediato un comitato composto da esperti e sindaci del “cratere” del terremoto con il compito di rendere più diretto il rapporto tra Stato e enti locali che ha ottenuto lo sblocco del 50% delle risorse.