Secondo un’indagine condotta da Datanalysis su 500 genitori che hanno avuto un figlio ricoverato in ospedale per la varicella e le sue complicazioni l’impatto in termini di disagio per la famiglia è estremamente significativo, per questo il 67,2 per cento consiglierebbe alle famiglie di vaccinare i bimbi. Eppure solo l’8,9 per cento degli intervistati sa dell’esistenza di un vaccino specifico.
La varicella, per molte persone, soprattutto in età avanzata, potrebbe ripresentarsi con una “riaccensione” del virus, che comporterebbe il doloroso “fuoco di Sant’Antonio”. La varicella è una malattia che lascia il segno, e non solo qualche brutto ricordo sulla pelle.
Eppure, non tutti sanno, che esiste una vaccinazione.
“La vaccinazione per la varicella rappresenta uno strumento estremamente efficace in termini di protezione del singolo e di sanità pubblica, visto che la malattia può dare origine a complicanze anche gravi che rendono necessario il ricovero in ospedale – spiega Giovanni Gabutti, Ordinario di Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Ferrara. – Le stime dicono che prima delle campagne di vaccinazione la varicella ogni anno colpiva circa 500.000 persone in Italia, in 4 casi su 5 nella fascia d’età 0-14 anni. Oggi la situazione è molto diversa: con il vaccino possiamo ottenere una significativa riduzione del numero di casi di varicella con complicanze e ospedalizzazioni, oltre al più generale contenimento della morbosità della malattia. Inoltre la vaccinazione universale dell’infanzia, creando l’immunità di gregge, potrebbe consentire la riduzione dei casi di patologia in tutte le fasce d’età”.
A testimoniare l’efficacia dei programmi di vaccinazione, oltre a dati derivanti da altre nazioni, ci sono le esperienze di alcune regioni italiane che da tempo hanno da tempo adottato una campagna vaccinale con ottimi risultati da Nord a Sud.
La varicella che cos’è?
La varicella è una malattia infettiva estremamente contagiosa, provocata dal virus Varicella zoster (Vzv) della famiglia degli Herpes virus. Si presenta dopo un paio di settimane dal contagio con febbre alta ed eruzione cutanea facimente riconoscibile, perché presenta le classiche vescicole che evolvono in pustole, associate al prurito, e infine alle croste.
Dopo di che il contagio che era iniziata due giorni prima della comparsa dei sintomi, cessa.
Attenzione alle complicanze
Le complicanze più frequenti sono di tipo dermatologico, come sovrainfezioni batteriche delle pustole, ma anche polmoniti e meningo-encefaliti. Nei bambini sani, in Italia queste complicanze rappresentano il 3-5% dei casi (quindi circa 20mila all’anno) incidenza che aumenterebbe in presenza di un quadro clinico complesso: ad esempio, «nei bambini con dermatite atopica aumenta il rischio di infezioni, in chi soffre di fibrosi cistica o nei prematuri, invece, il rischio è quello del complicanze respiratorie; negli immunocompromessi la situazione può diventare ancora più seria».
A spiegarlo è la professoressa Susanna Esposito pediatra del Policlinico dell’Università Statale di Milano e presidentessa dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici (WAidid). «I tempi di degenza possono essere anche piuttosto lunghi, con il bambino costretto all’isolamento per evitare la trasmissione della malattia».
Nell’adulto, poi, dove il contagio che avviene spesso in ambito lavortivo, sopraggiungono tantissime complicanze che possono essere anche di tipo neurologico.
Se poi si tratta di una donna in gravidanza, la cosa si complica ulteriormente. I problemi possono riguardare sia la gestante che il feto, nel quale può svilupparsi la sindrome da varicella congenita (se l’infezione è contratta nelle prime settimane di gravidanza) oppure una grave forma di varicella nel neonato (se il contagio è avvenuto negli ultimi giorni della gravidanza).