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Un bambino di due anni, vissuto al termine del Rinascimento, al tempo della Controriforma, circa 500 anni fa, imbalsamato e conservato all’interno della Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, con indosso una tunica dell’Ordine domenicano nelle arche sepolcrali. Per anni si è creduto che la causa della morte del piccolo fosse il vaiolo; ma un team internazionale di ricercatori della McMaster University di Hamilton in Canada, diretto da Hendrik Poinar, e della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, costituito da Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, ha appurato che il bambino era portatore del virus dell’epatite B, potendo così gettare nuova luce su un agente patogeno complesso e mortale, che uccide quasi un milione di persone ogni anno.

Virus simile a quello di oggi, che non ha subito alcuna mutazione nel corso degli anni. Infatti, è stata infatti rilevata dai ricercatori una stretta relazione tra i ceppi antichi e moderni di epatite B: entrambi mancano di quella che è nota come “struttura temporale”.

I risultati della ricerca scientifica sono stati pubblicati sulla rivista online Plos Pathogens.