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Per le coppie che non riescono ad avere figli in modo naturale, un aiuto può arrivare dalla procreazione assistita, anche se spesso richiede molti tentativi, ricoveri e tanta tanta pazienza.

Con la conseguenza che, al pari di tutti gli altri lavoratori e lavoratrici, bisognerà chiedere di giorni di permesso dal lavoro.

La legge italiana consente di ricorrere alla procreazione assistita alle seguenti coppie:

– coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi
in età fertile,

– che abbiano problemi di sterilità (cioè entrambi o anche solo uno dei due si trovi in una condizione fisica permanente caratterizzata dall’impossibilità di procreare)

– o quando la coppia non è riuscita a concepire figli dopo almeno un anno di tentativi.

Condizione assoluta è quella che non ci siano altri metodi terapeutici per risolvere l’infertilità o la sterilità. In pratica la fecondazione deve essere l’ultima spiaggia.

Ma come avviene la fecondazione assistita?

Per ricorrere al trattamento di fecondazione assistita si deve innanzitutto essere in possesso di un certificato che attesti in modo inequivocabile la condizione di sterilità o infertilità degli aspiranti genitori. Con il quale sarà possibile accedere alla fecondazione assistita in strutture pubbliche o private, autorizzate dalle varie Regioni e iscritte in un apposito registro custodito presso l’Istituto superiore di sanità, chiamati centri di procreazione medicalmente assistita, con tutti gli effetti clinici presso cui è possibile iniziare il proprio trattamento di fecondazione, che consiste in tecniche e pratiche cliniche al fine di favorire la gravidanza attraverso il trattamento di ovociti, spermatozoi ed embrioni.

Le tecniche hanno diversi gradi di complessità e invasività andando dalla fecondazione omologa a quella eterologa:

– Inseminazione semplice (nel corpo della donna)
– Fecondazione in vitro (all’esterno del corpo della donna)
– Trasferimento embrionale
– Trasferimento dei gameti
– Microiniezione dello o degli spermatozoi
– Crioconservazione di gameti e embrioni (congelamento)

La fecondazione assistita per legge non rientra nel termini dell’aspettativa retribuita da lavoro. Non è quindi possibile fare ricorso a questa tutela. E non è neppure considerata una malattia nel senso classico del termine. Ciò non toglie che dall’Inps venga comunque assimilata a una malattia e quindi venga concesso alle coppie che hanno intrapreso l’iter di beneficiare dell’assenza retribuita da lavoro.

Si ha infatti diritto a 3 settimane di malattia retribuita (nello specifico 21 giorni): 1 settimana prima del transfer (trasferimento dell’embrione nell’utero) e 2 settimane dopo il transfer.

Giorni di malattia considerati anche i giorni di ricovero in day hospital.

Per avvalersi di questo beneficio basterà richiedere l’astensione da lavoro motivata da fecondazione assistita come cura della sterilità.
La procedura burocratica è la seguente: “La clinica presso cui effettui la fecondazione ti rilascerà il certificato di trattamento sterilità e fecondazione assistita per le giornate di ricovero in day hospital. Questo certificato ti verrà rilasciato in 3 copie: per te, per il datore e per l’Inps.
Per i giorni di assenza pre ricovero e post dimissione puoi andare dal medico di base, che ti rilascerà il certificato di malattia con diagnosi “cure per fertilità e fecondazione assistita secondo circolare Inps 7412, 4 marzo 2005”.

Questo certificato verrà inviato direttamente per via telematica all’Inps e ti verrà rilasciata copia per il datore di lavoro.
Mentre per l’Inps il certificato dovrà contenere sia la diagnosi sia la prognosi, al datore di lavoro servirà solo il certificato con la prognosi (quindi i giorni di assenza).

Per i ricoveri in day hospital (pick up e transfer) servirà il certificato di ricovero rilasciato dalla clinica; le giornate successive alle dimissioni – massimo 2 settimane – richiederanno il certificato del medico curante. Così come anche l’eventuale settimana di assenza per malattia pre-ricovero per fecondazione necessiterà di certificato del medico di base.